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Il commissario Nardone: LUIGI DI FIORE (ex Luca De Santis in Un posto al sole) intervistato da Tv Soap

Tv Soap ha il piacere di intervistare Luigi Di Fiore, regista e attore di cinema, teatro e televisione che i fan storici di Un posto al sole ricorderanno certamente nel ruolo di Luca De Santis (interpretato dal 1996 al 2001). Attualmente Luigi è nel cast della fiction Il commissario Nardone, in onda su Raiuno.

A cura di Carla per TvSoap.it

Iniziamo l'intervista dalla fiction “Il commissario Nardone”, che va in onda il giovedì sera su Raiuno e nella quale tu interpreti Corrado Muraro: chi è quest’uomo e come è entrato nella tua vita?

Muraro è innanzitutto un personaggio realmente esistito, anche se con un altro nome: era il Maresciallo Oscuri, il braccio destro del vero Nardone, e Muraro ne rispecchia fedelmente le caratteristiche. Oscuri era quel che si dice un uomo tutto d’un pezzo, un uomo di modi spicci ma molto efficaci, e si diceva che se serviva una confessione immediata chiamavano lui perché non si sa con quale magica pozione riusciva a estrapolare molto velocemente le dichiarazioni necessarie ai malviventi. Muraro lo rispecchia abbastanza: è un uomo burbero ma si capirà poi che porta dentro di sé una straziante vita privata… e qui c’è una delle cose più belle di questa fiction, perché di tutti i personaggi porta in scena non solo il quotidiano lavorativo ma anche la vita privata, i momenti a casa… ci sono molte linee verticali sui personaggi e non è una struttura piramidale come di consueto. E questo vale per tutti: Suderghi, Rizzo, Spitz… tutti hanno un privato che è stato descritto molto bene.

Come è entrato nella mia vita Corrado Muraro? Ancora non ci credo: ho vinto un provino. Ed è stata davvero una bella soddisfazione essere scelto sia da un regista come Fabrizio Costa (con cui poi è nato un rapporto personale e professionale bellissimo, fino alla nuova fiction Rosso San Valentino che abbiamo girato di recente) e sia da un responsabile Rai come Francesco Nardella. Credo che sia, onestamente, il ruolo più importante della mia vita a livello televisivo.

Devo chiedertelo al volo: quindi sarai anche nel cast di Rosso San Valentino?

Sì, interpreto Vittorio, un gran bel personaggio che vive su una sedia a rotelle e che per questo attira su di sé la solidarietà che c’è in questi casi, anche perché tutto è nato da un incidente sul lavoro ma che riserverà poi una svolta pazzesca…

Torniamo al Commissario Nardone e a Corrado Muraro: per preparare questo ruolo ti sei documentato sulla vita dei poliziotti dell’epoca o sulle storie vere raccontate?

Per entrare nel personaggio ci sono sempre vari modi: indubbiamente si parte sempre col rendersi conto di che materiale si ha per poter lavorare, e quindi ci sono i copioni. Poi per nutrire attore e personaggio sono andato a scoprire altre cose, e ho scoperto il vero Nardone, che non conoscevo, come non credo lo conoscesse nessuno di noi: io sono nato a Milano nel ’64 e con questa storia ho scoperto i decenni precedenti la mia nascita, ho scoperto cose che non pensavo possibili… Il numero di emergenza, quello che era il 777 e oggi è il 113, se l’è inventato Nardone. Non solo: ma ha avuto la genialità, in un momento storico in cui una cosa del genere poteva far pensare a un ritorno al totalitarismo (l’Italia usciva da una dittatura, non lo dimentichiamo), di non farlo passare come un numero di delazione, ma come numero di soccorso.
E in questo modo non c’era più la polizia che aspettava la denuncia in commissariato, ma le volanti che iniziavano a presidiare il territorio… e anche lì, la squadra mobile se l’è inventata lui! E la scientifica sul luogo del delitto… è sempre una sua idea. Se ci pensiamo perfino l’Fbi ha preso esempio da quest’uomo italiano ed è davvero un peccato che questa storia non sia stata raccontata prima. Per cui puoi immaginare la passione che mi è nata nel momento in cui ho capito che potevo raccontarlo…
Poi bisogna dare un grande merito ai costumi, per l’80% originali di quell’epoca: Luciano Capozzi ha fatto un lavoro straordinario e di grande raffinatezza, che abbiamo onorato girando le scene invernali con 40 gradi all’ombra! Ma il costume ti dà una discesa nel personaggio che nient’altro può dare.
E poi ovviamente c’è stata la regia di Fabrizio Costa, che per me è un genio, ed è stato straordinario nel darmi la possibilità di esprimermi al massimo.

Ci racconti una cosa del tuo personaggio che hai amato in maniera assoluta... e una che se avessi potuto avresti cancellato con un tratto di penna dal copione?

Di cose che mi sono piaciute e mi hanno appassionato ce ne sono state talmente tante che non se ne può scegliere una. A ogni pagina che scorreva pensavo “che bello questo sentimento, che bella questa svolta, questo lato così pieno da raccontare…”. Se ci pensi io su questo personaggio ho lavorato per 86 pose, sono stati quasi cinque mesi… un’esperienza straordinaria. Ma la vedrete!

Una cosa che non mi è piaciuta… forse una sola, che ho cercato in tutti i modi di evitare: a un certo punto il mio personaggio deve tirare uno schiaffo alla figlia, e io non volevo assolutamente darlo, e chiedevo a Fabrizio Costa di non farmela fare… e lui invece sosteneva che faceva parte del personaggio, del periodo… che negli anni 50 era così. Io ho una figlia e non mi sono mai permesso di sfiorarla, ma sul personaggio aveva ragione Fabrizio e alla fine l’abbiamo girata come la voleva lui: era giusto così!

Con quale collega ti sei trovato meglio a girare e perchè?

Non vorrei far torto a nessuno, ma è nata davvero una bella amicizia con Sergio Assisi, un rapporto speciale, gli voglio bene. Oggi in conferenza stampa ha detto una cosa belissima. “Mio fratello Luigi.” Ma anche con gli altri, con Francesco Zecca, Stefano Dionisi, Ludovico Vitrano… la “squadra” ha costituito davvero un nucleo di piacevolezza durante il lavoro e di questo li ringrazio.

Una domanda obbligata: perché la messa in onda di questo prodotto è slittata per due anni dopo la fine delle riprese?

Posso solo riportare quello che ci è stato detto: si trattava di un problema di programmazione, perché c’è stato una sorta di imbuto in un momento in cui erano pronti troppi prodotti nello stesso momento. Però n questo momento apriamo la stagione Rai di quest’anno, la rete punta molto sul prodotto e quindi l’importante alla fine è essere usciti. Anche perché è due anni che noi aspettiamo di vedere il risultato di un lavoro così immenso e bello… ma lo dico con sincerità, è davvero una soddisfazione e un orgoglio averne fatto parte, e credo che traspaia dalla mia voce!

La serie che andiamo a vedere ha un finale definitivo e conclusivo oppure lascia uno spazio aperto a un’eventuale seconda stagione?

Guarda, noi copriamo un arco di sette anni, da fine anni ’40 a metà anni '50. Nardone arriva a lambire perfino gli anni ’70, quindi volendo ci sono ancora 25 anni di storie da raccontare, c’è materiale per tre serie! (sorride) Quello che ci è dato di immaginare è che se andrà bene e avrà un buon riscontro di pubblico si potrebbe andare avanti a usare questa miniera di personaggi e storie… credo che sia nella logica di un’azienda che vuole andare bene!

E quindi perché uno spettatore dovrebbe guardare Il Commissario Nardone, secondo te? Se dovessi dirlo in una frase sola.

Per il valore storico di quello che narra e per il valore artistico di tutti coloro che ci hanno lavorato.

Passiamo a parlare un po’ di te: hai studiato e lavorato con Gassman, Strehler, Placido e Mezzogiorno: quanto ha contato iniziare così e che cosa porti con te di ciascuno di loro?

Tantissimo. Tutto, tutto. Io devo tutto a Gassman, mi ha scelto come allievo a diciott’anni… è stato il primo, e lì si parlava di una borsa di studio che cambiava davvero la vita perché ti dava la possibilità di accedere ai corsi della Bottega Teatrale e di studiare a Firenze per 15 ore al giorno sapendo di avere un tetto sulla testa e qualcosa da mangiare. E a diciott’anni la possibilità di studiare così diventa tutto… Io della recitazione mi ero innamorato a dodici anni, ascoltando Dario Fo alla Palazzina Liberty, l’ho sentito per trenta sere di seguito e sono rimasto sconvolto, ho capito che era il lavoro che volevo fare. Gassman poi me ne ha data la possibilità.

Strehler invece l’ho incontrato 5 anni dopo, quando ero un filo più maturo. Oggi mi fa sorridere dirlo, ma comunque i 23 anni di allora erano più dei diciotto di Gassman, ero già nella professione… anche se non ero un attore navigato (sorride). E Strehler mi scelse per Elvira o la passione teatrale, lo spettacolo per il Teatro Europa… con lui che curava la regia e contemporaneamente recitava…

Una rimembranza di una passata intervista mi porta a chiederti… Ma c’era anche Giusi Cataldo (Matilda in Centovetrine)?

Esattamente!!! La bellissima e bravissima Giusi Cataldo! Ci siamo salutati l’altro giorno, ci siamo nel cuore reciprocamente. E d’altronde quel personaggio ci ha segnati, entrambi. Anche in negativo (scoppia a ridere) nel senso che dopo che hai provato un’esperienza così bruciante, una passione teatrale così forte, poi è complicato farne a meno dopo! Strehler mi ha dato il senso profondo di questo mestiere. Io lo ringrazio e lo tengo sempre nella locandina, l’ho conservata da allora!

Poi è arrivata la Piovra, ho fatto la quarta e la quinta serie, l’ultima di Placido e la prima di Vittorio Mezzogiorno ed è stato il mio debutto televisivo: non quello di fronte alla macchina da presa perché lì avevo debuttato quando studiavo in “Camera con vista” di James Ivory, un film che prese tre premi oscar e mi ricordo che pensai “Se il buongiorno si vede dal mattino… sono a posto!” (sorride) e invece non era così semplice!
Ma fu il primo contatto col grande pubblico. Mi ricordo ancora i brividi quando in Rai passarono sul sottopancia, dopo l’ultima puntata di Placido, “si ringraziano i 21 milioni di telespettatori”. 21 milioni… nemmeno la Nazionale di Calcio!

Di quell’esperienza mi  è rimasta l’immunità totale da polizia e carabinieri per anni: qualsiasi cosa facessi, se mi fermavano finiva che dovevo andare a bere qualcosa con loro. Immaginati a 23 anni cosa vuol dire… ti senti un supereroe come quelli dei fumetti!
Poi Placido non l’ho più incontrato e un po’ mi dispiace perché ha fatto dei film talmente belli… mi piacerebbe lavorare ancora con lui. Con Vittorio Mezzogiorno invece nacque la prima vera amicizia da attor giovane, portammo uno spettacolo a teatro, avevamo dei progetti… gli mando un bacio da quaggiù.

Dopo un percorso di grandi maestri e grandi spettacoli teatrali la notorietà arriva con Un posto al sole. È un controsenso oppure no? Che ricordo hai della soap?

Partiamo dal fondo: ne ho un ricordo straordinario, talmente vivo… anche perché non è solo la soap: Napoli ti cambia la vita! E quella non era solo un’esperienza lavorativa… quell’anno il centro Rai di Napoli stava per chiudere, non avevano più produzioni. Dal cappello di qualcuno uscì questo “Neighbours” che gli australiani facevano con successo da vent’anni, e si decise di portarlo in Italia… chiamando proprio gli australiani perché ce lo insegnassero. E all’epoca ci davano tutti dei matti, sembrava un’operazione velleitaria che non avrebbe portato a nulla. Ma dal punto di vista attoriale era una sfida assai appetibile, perché se avessimo perso avremmo perso tutti, ma se avessimo vinto… sarebbe stata una cosa incredibile. E la responsabilità era tutta nostra! Ovviamente non era tutto perfetto, c’erano anche attori giovani che dovevano crescere… ma c’era anche un gruppo di grande esperienza e talento, fin dalla prima puntata, che secondo me ha decretato il vero successo di Un posto al sole.

Fu una soddisfazione enorme, e un periodo irripetibile. Anche perché dopo cinque anni ci fu l’esigenza di sceneggiatura di trasformare “il dottore” in una “dottoressa” e dovetti a malincuore lasciare l’avventura. Con tutto il dispiacere che c’è quando si lascia una famiglia, perché ormai era quello…
Mi ha fatto un po’ male, devo essere sincero, anche perché a quel punto divenne difficile lavorare. Mi dicevano che avevo fatto così bene il mio personaggio che tutti mi identificavano con quello… mi si immaginava a fatica in un altro ruolo. E io che mi ero abituato ad essere stimato e coccolato se facevo bene il mio mestiere adesso venivo escluso perché l’avevo fatto troppo bene. Era davvero una seccatura (sorride). Così sono dovuto ripartire da zero, pian piano.

E quindi è tornata la grande fiction: “Amanti e segreti”, “Distretto di Polizia”, “Incantesimo”, “I Cesaroni”… leggendo i titoli delle fiction di più grande successo degli ultimi  dieci anni tu ci sei sempre. Ricominciare è servito… Ma, tra tutte, qual è il ruolo che hai preferito in questi anni?

Grazie a Dio sì, poi sono ripartito, a volte con ruoli più di responsabilità a volte meno, nelle fiction più vecchie si vede che sono i ruoli minori. Ma ci sta, noi facciamo un lavoro in cui non si arriva mai, è sempre una sfida.

Il flash su uno dei lavori però va senza dubbio ai Cesaroni: lì è stata la prima vera concreta rinascita come attore. Prima avevo fatto esperienze belle, anche salutari da un punto di vista economico, ma non avevo la padronanza di una soddisfazione piena: nei Cesaroni ho avuto di nuovo la possibilità di esprimere delle cose appieno. E poi ovviamente sono arrivati Il commissario Nardone, Rosso San Valentino, ora Barabba (ce ne parlerà dopo, ndr), ma è tutto ripartito dai Cesaroni. So che si fermerà, perché si ferma sempre, ma per ora… l’altro giorno il mio amico Franco Castellano ha detto una cosa molto carina e molto vera: “Quando saliamo i gradini di una scala dobbiamo ricordarci molto bene delle persone che incontreremo al momento di riscendere quegli stessi gradini, perché succederà, e perché quelle persone saranno le stesse e si ricorderanno di come le avevamo trattate al momento di superarle.”

Oltre la recitazione: nel 2005 firmi la regia di “Taxi lovers”, dirigendo attori come Edoardo Leo, Valentina Chico,  Ettore Bassi e  Sergio Fiorentini. Com’è nato questo progetto? La voglia di regia è venuta all’improvviso o era qualcosa di presente da tempo? E può un attore diventare regista senza snaturarsi?

La regia è stata un’esperienza parallela nella mia vita: fino al ’96 io ho curato regie teatrali, e poi ho realizzato moltissimi corti e documentari. Uno dei corti più belli, “soapoperali” è anche online, racconta la mia esperienza a Un posto al sole, sostanzialmente potevo farlo solo io! (ride). Tra i documentari ne ho girati tre per Geo&Geo, sono andato in Africa… dirigere era già qualcosa che mi apparteneva.

Taxi lovers è un film scritto da Dino e Filippo Gentili che io conoscevo già perché erano i nipoti di Vittorio Mezzogiorno, ed è stato il film che ho avuto la possibilità di fare. Probabilmente non è il film della mia vita, quello spero sempre di girarlo in futuro, ma è stato il film “possibile” che abbiamo realizzato con un mezzo miracolo finanziandoci per 200.000 euro con soldi presi da una parte e dall’altra e costruendo qualcosa che se interamente pagato sarebbe costato un milione e mezzo di euro. E invece convincevamo le persone a darci gli spazi gratis, giravamo per le strade… è stato un’operazione straordinaria, anche se nella sua completezza non è un film totalmente riuscito. Ma girarlo è stato un tentativo di prendere “una patente”, di acquisire una maneggevolezza della tecnica che spero mi servirà ora per poter girare il film che ho scritto, e che questa volta sì, porta in scena la mia visione del mondo nel raccontare un grande archetipo, ovvero il rapporto di un padre con una figlia di fronte alla domanda “E’ disposto un padre a dare la propria vita per la vita della figlia?”

Una curiosità personale da antica spettatrice di Incantesimo: com’è Valentina Chico?

Valentina è una persona straordinaria, sia dal punto di vista umano che da quello professionale… e io la ritengo anche una bellezza rara, vera, italiana… non come quelle sciacquette che ci propinano, se mi permetti l’affermazione (ride).  È un vero peccato che questo paese dimentichi a volte di avere talenti come il suo a disposizione. Nei suoi confronti io ho un senso di profonda riconoscenza perché fu generosissima sul set, davvero straordinaria e fu godibilissimo accordarsi con lei. Che forse è una parola più giusta di “dirigere”, perché secondo me un regista non deve sostituirsi all’attore ma solo creare un’atmosfera che gli permetta di esprimersi facendolo sentire al sicuro e naturalmente sapendo che ove deragliasse ci sarebbe qualcuno pronto a riportarlo sui binari del personaggio.

Se di tutto il teatro mondiale potessi salvare solo tre opere, quali sceglieresti e perché?

Per primo l’Amleto di Shakespeare perché è il fondamento dell’esistenzialismo, è la prima volta che l’uomo si pone al centro delle possibilità e delle risoluzioni… la prima opera di introspezione profonda: anticipa Freud, anticipa tutta la grande scuola del pensiero esistenziale, anticipa tutto! Non è possibile pensare Voltaire se prima non c’è stato Shakespeare.

Poi direi il teatro greco classico, tutto, perché è la strada dell’occidente. Portiamoci i greci perché i greci sono le nostre radici, e dovrebbero pensarci i tedeschi e trattarli come è giusto trattarli, come la radice di tutto quello che siamo. Vanno guardati con un occhio di benevolenza perché ci hanno dato la culla, sono il motivo per cui noi siamo al vertice dei diritti civili rispetto a tutto il mondo: lo siamo perché ci sono stati i greci che si sono inventati la democrazia e hanno salvato noi. Non possiamo far finta di niente!

Terzo direi Dostoevskij, tutto il suo pensiero in rappresentanza della grande profondità della letteratura russa. Non è teatro ma va salvato lo stesso.

Nel 2009 sei stato premiato al festival del cinema di Parigi, per quale ruolo?

Per un film di Alessandro Verdini, “Emilia Galotti”, un’opera straordinaria basata sugli scritti di Ibrahim Lessing e scritta da Paolo Fallai. Io interpreto il giornalista italiano Marinelli, il ciambellano di corte di Lessing, il consigliere perfido, lo Iago della situazione… è un premio di cui vado davvero orgoglioso sperando ovviamente di poterne vincere altri magari in terra italiana!

Per concludere, ci sono progetti su cui stai lavorando che ha voglia di raccontarci?

Ho appena finito di girare in Tunisia Barabba, con protagonista Billy Zane, l’attore che faceva il fidanzato di Rose in Titanic, e interpreto Pollione, il capo dei gladiatori. È un altro progetto che andrà in onda su Raiuno come Rosso san valentino e come una docufiction che ho girato nel frattempo, che si chiama “La vita contro” e che vedremo il 14 settembre. Storie vere, storie belle, storie forti… che spero piaceranno!

Ce lo auguriamo e te lo auguriamo, e ti ringraziamo per la disponibilità e la simpatia che ci hai regalato. Appuntamento il giovedì sera col Commissario Nardone e con il suo vice Corrado Muraro, interpretato da Luigi Di Fiore!

© TvSoap.it - Riproduzione vietata

(Pubblicato il 6 settembre 2012)


 


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