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Un posto al sole: l'intervista di Tv Soap a MARINA TAGLIAFERRI (Giulia Poggi) - seconda parte

Continua il nostro incontro con Marina Tagliaferri, la Giulia Poggi di Un posto al sole. Ecco la seconda parte dell'intervista, ma prima vi ricordiamo che potete recuperare o rileggere la prima CLICCANDO QUI.

Intervista a cura di Carla per TvSoap.it. Riproduzione vietata.

Nel 2010 è stata presentata al Roma Fiction Fest la serie "Zodiaco 2"... che fine ha fatto? Siamo nel 2012.

(ride) Lo sapevo che avresti fatto questa domanda! Sì, noi siamo stati presentati al Fiction Fest e abbiamo anche vinto il premio come miglior sceneggiatura, ma poi non siamo mai andati in onda perché c’era un problema interno alla Rai, in quanto RaiDue, su cui dovevamo andare, non produceva più fiction… e insomma la cosa si è arenata. Adesso in teoria so che dovrebbe andare in onda: sono 6 ore di roba, non è una minifiction o un film… sono 4 puntate da un’ora e mezza in prima serata. Se ad aprile vedremo partire i promo vorrà dire che andrà, sennò… l’abbiamo girata a -15 sotto la neve, spero non vada in estate! (ride)
Tra l’altro lì ero mora di capelli, è stata una sfacchinata tornare al rosso! Per scurirli non c’è voluto niente ma per tornare al rosso… è stata una cosa disastrante! Poi il rosso è difficile, molto difficile, soprattutto il mio! Sennò diventa il solito mogano che non mi piace per niente… (sorride)

Lei è attrice e doppiatrice, ma come spettatrice cosa guarda in tv e al cinema? L'ultima cosa bella che ha visto a teatro?

Io guardo di tutto: cinema, film, fiction, serie tv… poi ho Sky per cui potrei tenere una tesi di laurea su tutte le serie di Sky. Adesso è iniziata “Touch”, meravigliosa, entusiasmante! L’ultima cosa bella a teatro… a Napoli, ho visto “Il vizietto” con Massimo Ghini e Cesare Bocci. Perché Massimo… (sorride) insomma Massimo è diventato attore perché ha conosciuto una ragazza a 17 anni a cui piaceva il teatro e che ero io, questo è il concetto della faccenda! Siamo stati due fidanzatini quando avevamo 17 anni! Lui ha conosciuto me ed è nata una storia, e io avevo una compagnia - di dilettanti, naturalmente, andavo ancora a scuola - e lui entrò in questa compagnia, recitammo insieme, e ci siamo molto divertiti. Poi io sono entrata in accademia, lui no ma ha cominciato a lavorare lo stesso e da allora siamo rimasti molto legati, molto amici… un po’ fratelli, come succede quando ci si conosce a quell’età. E allora sono andata a vederli e sono stati molto bravi e molto divertenti tutti e due, mi è piaciuto molto.

Quando ha capito che voleva fare l'attrice? Era una tradizione di famiglia oppure per caso?

No, una tradizione di famiglia no. So che al mio papà da ragazzino piaceva recitare ma non c’entra. Io ho cominciato ad amare il teatro a scuola, dalle suore, con le recite… e poi avevo deciso di entrare in Accademia dopo la terza media. Per fortuna mia madre ha chiamato e le hanno detto che ci voleva il diploma, e così ho fatto le superiori e alla fine sono stata in dubbio tra l’Isef e l’Accademia. E stavo per entrare all’Isef, stavo per fare il test. Poi un giorno subito dopo preso il diploma mi sono guardata e mi sono detta “Ma che cavolo stai facendo?”, non ho fatto il test per l’Isef ma l’esame per l’Accademia e sono entrata.

Ricorda il giorno in cui le dissero "sì, entri in accademia"? Che cos'ha provato in quel momento? Era una conferma importante o ne era comunque certa?

Certo… è arrivato il telegramma a casa, e a ripensarci è stata una scena buffissima. Mia madre mi ha portato questo telegramma con le mani che le tremavano, io l’ho aperto e ho commentato “Sì sì va bene, lo sapevo, sono entrata”. Come se la cosa non mi riguardasse!  E sono meravigliata da questo atteggiamento a ripensarci, ma forse volevo dimostrare a loro due che quello che volevo fare era possibile, e un’eccessiva gioia sarebbe stata un segno di debolezza.
Ieri sono stata ospite a una trasmissione in diretta su Tv2000 in cui c’era una famiglia di filippini il cui secondogenito ha una passione importante per il ballo, a livello professionale. Hanno intervistato la Cuccarini e poi hanno chiesto a me, e io sono andata ospite e ho detto che in effetti per fare il ballerino bisogna cominciare presto, in un’età diversa. Ma soprattutto la cosa importante è far capire ai giovani che c’è un momento magico – intorno ai 18 anni, non è molto prima, no è molto più in là – in cui uno è arrivato fin lì con un’idea, vuole fare il medico o altro, e improvvisamente 10 minuti di orologio gli cambiano tutta la vita e decide di andare a fare il fruttivendolo. O voleva fare l’ingegnere e va a fare il medico. È il momento in cui le sinapsi, gli impulsi del cervello prendono una direzione, correggono il tiro e si apre il file… ed è quello giusto. E per questo non bisogna mai avere troppa fretta di decidere… certo, se vuoi fare il ballerino a 25-30 anni è tardi. Però la cosa importante è che qualunque scelta si faccia in quel lasso di tempo bisogna crearsi delle basi culturali, perché è la cultura che fa andare a posto questi impulsi sbandati, istintivi, privi di cognizione… e che solo attraverso la cultura assumono una forma precisa.

Se invece una persona guarda solo una cosa, se un ragazzo vole solo diventare attore e non guarda altro intorno a sé, allora rischia di sbagliare. Si deve mettere alla prova per sapere se la sua scelta è quella giusta, aprendosi culturalmente un ventaglio di opzioni e solo dopo aver esaminato il ventaglio come interesse – il che include anche lo studio a scuola – allora si apre automaticamente il file giusto.

Secondo lei il futuro della recitazione è il teatro o il web? O meglio: il teatro sarà mai "superato" come arte recitativa?

Questa è una domanda che mi fanno spesso ma che oramai è diventata inutile. Sai come si chiamano i luoghi dove si recita e si registra nei posti come Cinecittà? Teatro di posa. Il “teatro” non è un palcoscenico e una tenda, il teatro è il luogo deputato alla recitazione. Poi esiste il metodo di recitazione del teatro, che è come dire che si può uscire vestiti eleganti o sportivi: il metodo del teatro è una modalità di comunicazione fondamentale che ha il tratto distintivo nell’immediatezza del tempo e del luogo e che prevede dei limiti da un lato e delle emozioni dall’altro.
L’attore per esistere deve avere qualcosa da dire, un luogo dove dirlo e qualcuno che ascolti e che guardi. Poi può cambiare il sistema di comunicazione ma bisogna sempre ricordarsi che si parte sempre dallo studio del teatro. Che sia di posa, lirico, anche virtuale con gli ologrammi, si può spaziare.
Se prendo una delle vecchie registrazioni di “Mille e una notte” - l’altra sera ho registrato “Sei personaggi in cerca di autore” con Romolo Valli e Rossella Falk – e lo proietto in un salotto… è sempre teatro!

Ha pubblicato un libro intitolato Un posto a tavola... parecchio tempo prima che la passione per la cucina diventasse così televisiva. Qual è stato lo spunto che l'ha portata a prendere la penna? Una sorta di autobiografia "condita"?

In realtà anche all’epoca per me è stato così. Quando sono stata spronata dall’editore a scrivere questo libro – c’era tutta la questione che Giulia non sa cucinare mentre io cucino bene – mi sono messa a fare un giro e sono rabbrividita: chiunque pubblicava libri di cucina, porci e cani, una cosa mai vista… e mi sono chiesta a chi potesse interessare il libro di cucina scritto dall’ennesima attrice… non se ne poteva più!
E allora ho trovato una strada che non partisse dall’antipasto e arrivasse al dolce ma ho diviso l’anno in quattro stagioni, ho parlato di quello che la stagione porta, ho inserito i capitoletti “i miei ricordi”, “le mie passioni”, “il giro al mercato”, “perché so quella ricetta”, raccontando in primo luogo la storia che c’era dietro. Perché non è che uno nasce imparato con la ricetta dentro la capoccia. Una la so perché ero lì con Carmelo Bene che mi spiegava come si faceva la ribollita, quell'altra la so perché … è vita, è storia. E soprattutto tutto si aggancia  a una parola importante che è “memoria”. Mai così giusta come quando si parla di cucina, perché le ricette vivono nella memoria delle persone, e poi ogni tanto qualcuno le scrive. Io ho i quadernini di mia nonna scritto col pennino con i verbi che finivano in andaR, veniR, levaR, e per esempio nella ricetta della torta alla ricotta come inizio c’è “Uscire di buon mattino e andare a comprare la ricotta" e non è una battuta di spirito. È che all’epoca non c’era il supermercato e quindi se non andavi presto la ricotta non la trovavi più e il dolce non lo facevi più. Faceva parte della ricetta, e quindi è una “memoria” che torna.
E quindi con questi inserti, con le foto del teatro, di Un posto al sole, della mia vita il libro è diventato di 400 pagine, con 250 ricette.

Ha detto che è il tempo che crea una ricetta, non il primo cuoco. Vale anche per la recitazione? Cosa c'è di diverso nella Marina che entra oggi sul set di Upas rispetto a quella che ci è entrata la prima volta nel 1996?

Indubbiamente Un posto al sole è una grande palestra, anche per il fatto che permette di vedersi e rivedersi continuamente. È un work in progress continuo, e mi ricordo che quando ho iniziato giravo contemporaneamente Un prete tra noi, di cui ho fatto sia la prima che la seconda stagione. La prima l’ho girata in contemporanea con l’inizio di Un posto al sole,  la seconda l’anno dopo e mi ricordo la differenza enorme: la seconda mi veniva molto più facile perché avevo sulle spalle un anno di girato di Un posto al sole… ed era bellissimo sentirmi più sicura! La soap è una cosa che sfronda anche molte paure sul “vengo meglio a destra, vengo meglio a sinistra”, tanto a forza di girare come vieni vieni, invece se giri una cosa in cui hai solo quella scena, è l’unica occasione di “venire bene” e devi dare il meglio.

Nel libro racconta che le nonne erano amiche e hanno fatto crescere vicini i figli che si sono poi innamorati... le soap non inventano niente, insomma... era un po' nel destino? Ma poi, il destino esiste?

Il destino esiste. Ed esiste il destino che possiamo modificare.

Come nasce l'avventura del doppiaggio? Ho scoperto che ha fatto perfino l'adattamento dei testi italiani di Magnum P.I. nella prima stagione... cosa ricorda di quei giorni?

(ridendo) Ma come ha fatto ad avere queste informazioni??? Sì, era uno dei primi adattamenti…  Mi ricordo che la persona che me lo fece fare mi aveva detto “è una serietta, se la vuoi fare…” per cui quando scoprii che era una cosa pazzesca per Canale 5 rimasi anche un po’ così! E allora lui per “farsi perdonare” e darmi il giusto spazio mi mise nella sigla “adattamento dialoghi” enorme, e quindi tutti mi telefonavano e chiedevano che cosa avessi fatto… e io avevo “solo” adattato i dialoghi!
Adesso ho fatto una cosa molto bella: un cofanetto delle commedie di Shakespeare per cui ho curato l’adattamento di “Molto rumore per nulla”, “La commedia degli errori” e “Riccardo II” e ho doppiato la protagonista della “Commedia degli errori”, accanto a Maurizio Micheli.  Sono molto contenta perché questi sono adattamenti particolari, io ho studiato molto Shakespeare, mi piace e lo sento “pane mio”, per cui è stato un lavoro molto bello. Stanno finendo la lavorazione.
Ma io di doppiaggio e adattamenti ne ho fatti tanti, poi con Un posto al sole ho dovuto un po’ abbandonare e questa cosa mi è dispiaciuta, perché stavo prendendo degli attori importanti, stavo cominciando a salire, a introdurmi meglio. Poi con Un posto al sole ero sempre a Napoli e quindi ho dovuto lasciare. Adesso siccome ho la base a Roma e a Napoli vado, colpisco e torno… posso rifarlo.
   
Si pensa sempre che la tv sia qualcosa di meno rispetto al grande teatro. C'è invece qualcosa che la tv le ha dato in più, rispetto agli anni della carriera teatrale?

Sicuramente la popolarità, che è bella ma a volte è anche una gabbia: nei primi anni da un lato era bellissimo ma dall’altro se volevo andare a un mercatino a frugare tra i banchi non ci potevo andare, perché mi fermavano. Però la popolarità è importante soprattutto perché ti permette di scoprire che quello che fai è utile. Non resta una cosa che gratifica te stesso, perché hai fatto una bella cosa e sei contento. Con la popolarità la gente te lo viene a dire che sei stato utile. Io mi ricordo negli ospedali, quando è stata operata una persona cara, mi venivano a dire in tanti “sapesse quanta compagnia che ci fa, aspettiamo di vederlo…”, anche persone sole… e questa cosa a me ha riempito di felicità.
Il teatro, certo… per chi ci va. Ma chi non ci può andare? Invece la televisione raggiunge tutti, anche chi non può muoversi, anche una persona handicappata, una persona sola. Ha un’utilità sociale molto forte.

Lei ha lavorato nell'Amleto messo in scena da Carmelo Bene nel 75, l’anno in cui morì Pasolini. Che cosa ha significato lavorare con un genio di sregolatezza come lui?

Avevo 22 anni, ero una ragazzina. Lo stesso Pasolini io l’ho scoperto postumo, quasi, perché sapevo ovviamente chi era, ma non avevo ancora la cultura per capire, per sapere profondamente chi era Pasolini. Poi l’ho studiato. Carmelo Bene era il nostro Pasolini del teatro, la rivoluzione teatrale. E io vivevo quella, ma senza comprenderla appieno, quello è successo dopo, ma non perché non la capissi ma perché a volte le cose non si comprendono mentre si vivono ma in un momento successivo, quando si matura.

Se le dico "Belli" qual è il primo verso che le viene in mente?

“L'ommini de sto monno sò ll'istesso / Che vvaghi de caffè nner mascinino” del sonetto “Er caffettiere filosofo ”!
Questo sonetto lo lessi sull’antologia delle medie, quindi entro i 13 anni, mi innamorai perdutamente e da quel momento non ho mai abbandonato il Belli. Con Gianni Bonagura anni fa abbiamo realizzato la “Maratona del Belli” al Teatro Vittoria: 500 sonetti in due sere!

Com'è nata l'avventura di Upas? Come l'ha saputo, perché ha deciso di entrarci e com'è stata la selezione?

Dunque, io non sapevo niente, ero stata chiamata per fare un provino per un’altra cosa, una fiction con Johhny Dorelli, e quindi la produzione (che era la stessa di Un posto al sole) stava visionando il mio provino su cassetta (avevo inserito delle scene di “I ragazzi del muretto”), e contemporaneamente poco più in là c’era uno degli australiani che guardavano i provini di Upas. Praticamente - ma questo me l’hanno detto molto dopo -  lui si è voltato, ha visto il video e ha detto “Io voglio quella”. E hanno provato a dirgli “Ma no, quella è per un’altra cosa” ma lui si è impuntato e ha detto “Non mi interessa, io voglio lei”. E io in tutto ciò non sapevo nulla, per cui quando me l’hanno proposto ho pure detto no, volevo girare la cosa con Dorelli… poi a un certo punto mi hanno messo di fronte a un bivio, o sì o no, quella mattina mi sono svegliata e ho detto “Va bene, sì” e non me ne sono pentita.

Un posto al sole è un format australiano, il concetto di napoletanità non c'era nell'originale. Secondo lei quanto incide invece in Italia - sia per il gusto del divertimento sia invece per i temi "seri" e anche attuali trattati (criminalità organizzata, rifiuti, recupero della fascia sociale giovanile) – che la soap sia ambientata a Napoli invece che – per esempio – a Genova?

Senza nulla togliere a Genova che è ugualmente una città di mare con un porto importante, Napoli è internazionale: si dice Napoli e si dice Italia. Come città aveva insite in sé tutte le caratteristiche nazionali, forse si sarebbe potuto girare anche a Roma ma sarebbe stata più dispersiva, mentre Napoli è più concentrata, le passioni sono più forti, la musica napoletana è quella che è, e anche il luogo era giusto: la Rai di Napoli aveva bisogno di questa produzione, era il momento giusto. E poi devo dire una cosa: non so se in un’altra città saremmo andati avanti come siamo andati avanti a Napoli: i napoletani ci hanno aiutato tantissimo, ci hanno sostenuto, protetto, aiutato, amato. Dobbiamo un enorme grazie a questa città.

Domanda obbligata per un sito internet: che rapporto ha con la tecnologia?

Sto migliorando. Nel senso che sono un po’ una capra, però mi sono resa conto di una cosa: mentre all’inizio cercavo di capire solo per non essere di meno rispetto ad altri, adesso capisco che è necessario perché tutto sta cambiando in tal senso e sarà necessario proprio perché sennò si rischia l’asocialità. I miei migliori maestri in questo sono i miei nipoti, che vengono da me tormentati su come si fa questo o quello perché sono bravissimi.

Se avesse a disposizione il genio della lampada e potesse scegliere il teatro più bello del mondo, il regista che le piace di più e un progetto speciale, che cosa porterebbe in scena in questo momento?

Sicuramente un musical, perché io ho sempre desiderato farne uno. Solo che quando ero ragazza c’erano solo Garinei e Giovannini, e da quando sono entrata a Un posto al sole non hanno fatto altro! In particolare io ho sempre amato il testo di Shakespeare della “Bisbetica domata”, da ragazza vinsi anche un provino in una trasmissione tv che si chiamava “Piccola ribalta” portando il monologo finale in due versioni, quella tradizionale e una in cui si lasciava intuire che il personaggio pensava esattamente l’opposto…
Insomma c’è un musical che si chiama “Kiss me Kate” con le musiche di Cole Porter e, se potessi, in linea generale porterei in scena quello. Oppure Mary Poppins, anche perché sono sempre stata chiamata così!
Per il regista non saprei, e per il teatro… non dico quello dell’Opera perché sarebbe presuntuoso però un bel teatro all’italiana, coi drappi di velluto rosso. Ho girati tutti i teatri italiani, con quelle tournée di una volta da 7-8 mesi l’una, si girava tutta l’Italia in lungo e in largo, scoprendo un paese fantastico pieno di teatri meravigliosi usati poco e male, di posti bellissimi da vedere e dove si mangia in maniera divina!
Abbiamo la fortuna di vivere in un paese bellissimo, se non ce lo rovinano!

Ringraziamo di cuore Marina Tagliaferri per il tempo che ci ha concesso e per la grande disponibilità. Vi ricordiamo che potete leggere la prima parte dell'intervista CLICCANDO QUI.



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(Pubblicato i 29 marzo 2012)


 


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