Un posto al sole: TvSoap intervista EMILIANO DE MARTINO, che interpreta Alfonso Vitale (prima parte)
Pubblichiamo in due parti (la seconda è già disponibile CLICCANDO QUI) un'intervista che abbiamo realizzato con Emiliano De Martino, che da qualche settimana è entrato nel cast di Un posto al sole.
Nell'attendere questi episodi clou, abbiamo incontrato Emiliano al quale abbiamo rivolto domande sul suo percorso artistico ma anche sulle difficili scene che ha girato a Upas (e che presto vedremo in tv).
Oltre a quello che viene visto in tv direi buono, sensibile e altruista.
Tieni a smarcarti dal personaggio che interpreti, direi…
Sì, decisamente! Io sono molto diverso da quel tipo di personaggio anche se mi fa molto piacere interpretare dei ruoli così… opposti rispetto a me. Devo dire che è il personaggio con cui lavoro di più da quasi tre anni a questa parte, e finisce che la gente mi identifica come “cattivo” e finisce per dirmi, quando mi incontra: “Ma perché sei così cattivo, con quella faccia così carina… non si direbbe”.
Io poi ho tutt’altro tipo di vissuto, sono cresciuto in un paesino in provincia di Salerno e quel tipo di esperienze non le ho vissute, ma non ho nemmeno avuto l’adolescenza dei ragazzini che giocano tutto il giorno alla Playstation. Sono cresciuto per strada, con le ginocchia rotte a rincorrere il pallone… una cosa verace.
Subito una domanda d'obbligo: è uscita la notizia sul settimanale Nuovo un’anticipazione secondo la quale Alfonso violenterà Angela. Cosa puoi dirci su quella scena, su come l’avete girata e su cosa ha significato?
Allora, bisogna distinguere la cosa sul piano lavorativo e su quello personale. Per non parlare delle reazioni dei fan, che sono già sul piede di guerra! Dal punto di vista lavorativo è una scena molto importante per lo sviluppo del personaggio e della serie; è un momento forte che mi aggancia a una protagonista molto amata e da quando è uscito il comunicato sembra che la gente mi odi: i fan club si sono scatenati, sembra che abbia fatto qualcosa a una persona di famiglia. E da un lato questa cosa mi fa sorridere, dall’altro mi preoccupa pure un po’, ma mi rendo conto dell’affiatamento eccezionale che c’è tra il pubblico e i protagonisti.
Dal punto di vista umano è stata una scena molto complicata, quando mi è arrivato il copione e l’ho letta sono rimasto basito. Non perché sia esplicita o volgare, ma perché è crudo il senso di quello che accade. Essendo di un’indole completamente diversa, altruista, buona… la psicologia di uno che fa così è proprio lontanissima da me.
Abbiamo girato la scena in notturna, era una cosa delicata, e alle prove quando è arrivata Claudia Ruffo e ci siamo presentati le ho proprio detto “Mi dispiace conoscerti in questo modo, mi sento una chiavica, perdonami!”. Lei è stata carinissima, poi dopo che avevamo girato qualche ciak in una delle pause mi ha chiamato “Emiliano, vieni vieni” e mi ha presentato il suo fidanzato… è stato il momento più imbarazzante della mia vita!!! Tra l’altro la mia fidanzata non c’era e non potevo contraccambiare! (sorride)
Per quanto riguarda la scena, come ha detto lei è una scena forte di sensi e contenuti ma non di approccio fisico: c’è un momento in cui la stringo e la butto per terra, ma il resto è tutto sottinteso a livello registico. Il che non ha fermato i fan che stanno scrivendo ovunque “Non ti permettere!!!”… ma fosse per me! (sorride)
Ripartiamo dall’inizio: come sei arrivato a Un posto al sole?
Dunque la serie va avanti da 18 anni… ero uno dei 3 o 4 napoletani che non l’avevano ancora fatto finora! (ride) Il tassello immediatamente precedente è stato il personaggio che ho interpretato ne La Nuova Squadra, Umberto Polito, un camorrista che è poi molto simile ad Alfonso Vitale, il personaggio che ho in Un posto al sole.
Poi la Nuova Squadra si è fermata per problemi interni alla rete, ma sono rimasti i contatti, anche con alcuni attori storici del cast che conoscevo per altri impegni lavorativi a teatro o al cinema, con Tatanka, il film tratto da Saviano, e a un certo punto mi hanno chiamato. Però dovevo interpretare un personaggio più giovane dell’età che ho: io ho trent’anni e Alfonso ne ha di meno, e quindi volevano vedere se sarei stato in grado di reggere una psicologia diversa. Dovevo avere un’interpretazione cruda da giovane di strada ma non uno scugnizzo qualsiasi…
Alfoso è uno che vuole arrivare, che ha qualcosa in più. E dovevo rendere il tutto attraverso una strategia tipica di un’età che non è la mia: io approccerei le cose in maniera diversa, ma lui è più ragazzino. E così ho dovuto dimostrare di poter rendere questa diversità e ho fatto un provino. E alla fine mi hanno detto “Tra una settimana ci sentiamo”.
È passato un mese, io ci avevo messo una pietra sopra e stavo organizzando uno spettacolo teatrale senza pensarci più, quando un venerdì mi chiamano e mi fanno “Senti Emiliano, lunedì che fai?” e io ho risposto “Per un altro provino? C’è bisogno di rivedere qualcosa?” e loro “No no, per girare sul set!”. Insomma ho passato il week end col mio agente a preparare il contratto e il lunedì ero sul set… alla fine meno ci credi e ci speri e più ti chiamano! (ride)
Possiamo chiederti quanto dura la tua partecipazione?
Allora, in realtà non lo so di preciso e non so se lo posso dire. Però sicuramente posso dire che andremo avanti ancora un bel po’, perché mi stanno arrivando tanti blocchi da girare con tante vicissitudini. Ho una scadenza provvisoria però tutto può cambiare. Poi io dico sempre che questo tipo di personaggi sono destinati o ad andare in galera o a morire, però da quello che vedo si sta sviluppando gradualmente – anche se faccio cose molto crude – un personaggio particolare, che viene assorbito e compreso in un contesto di persone da cui non se l’aspetta… per esempio la mamma di Angela. E queste cose mi lasciano sperare in una certa redenzione. Anche per dare un messaggio positivo ai giovani…
Nel mio privato, nella mia vita teatrale, è proprio questo che cerco di raccontare. Anche perché al cinema facendo personaggi di camorristi è facile diventare un “mito”… c’è questo “mito del boss” inspiegabile che soprattutto al sud prende tantissimo i ragazzini, e allora a teatro – nello spettacolo “Mamma Napoli” che è stato il primo che ho scritto e diretto – ho cercato di far passare il messaggio che si può nascere in un contesto e poi rifiutare di accettare quella gabbia senza sbarre che ti cala addosso. Il mio personaggio in quello spettacolo nasce in un contesto che all’inizio lo ingloba, però poi lui cerca di redimersi e alla fine ce la fa, e il messaggio è che volendo ce la si fa, si può fare tutto. Che è poi anche la mia storia, perché io sono figlio di papà operaio e mamma casalinga, e quando ho detto che volevo fare l’attore era come se dicessi “voglio fare l’astronauta”, una cosa impensabile. Invece poi esci da un contesto e sogni, fai una lunga lunga gavetta – che faccio ancora oggi perché non è che chissà dove sono arrivato – e però penso sempre che quando si vuole fortemente qualcosa alla fine la si ottiene, prima o poi. E le cose sono più belle se sono costate sacrifici… si apprezzano di più.
Queste cose quindi cerco di metterle addosso anche al personaggio di Alfonso che vado a interpretare, anche se non so quale sia l’epilogo: è un "work in progress" continuo che si aggiorna di settimana in settimana. Pensa che noi passiamo il giovedì sera e il venerdì ad aspettare i nuovi blocchi e le convocazioni e i week end a scoprire cosa fanno i nostri personaggi!
È una prova continua, non è qualcosa che fai come in tutti gli altri luoghi di recitazione, studiando un copione tre mesi prima e poi recitandolo, staticamente. Qui è qualcosa che cambia di continuo e che però si avvicina molto alla teatralità, perché c’è una sorta di improvvisazione, c’è una vita del personaggio che riesci a portare avanti gestendola più liberamente.
Quando e come è iniziato il tuo percorso di attore?
Io ho iniziato prestissimo, a 14 anni: vengo dal teatro che è anche la mia attività principale. Poi è venuto il sogno del cinema. Ho iniziato a scuola, frequentando i laboratori… ed ero pure la persona meno indicata del mondo, ero timido in una maniera patologica, se mi chiedevano “mi passi una penna” diventavo viola, ero chiusissimo… infatti al corso di teatro non mi ci volevano, mi rispondevano “Ma ‘ndo vai, vai a fare pallanuoto!”
Le prime prove sono state difficilissime, non riuscivo, balbettavo. Poi c’è stato lo spettacolo e sono salito sul palco di fronte a 400 persone e quella sensazione… i fari caldi in faccia, il respiro del pubblico… mi hanno dato un’emozione di benessere e una forza mai provata. E ho detto “voglio vivere così, voglio essere questo!”. Non mi ero mai sentito così forte. E allora ho iniziato a frequentare una compagnia di Salerno che si chiamava "Maschera nova" e le televisioni private, perché c’è tutto un circolo di tv private che al sud funzionano bene: facevamo trasmissioni comiche, cabaret, portavo testi miei e li mettevamo in scena, conducevo manifestazioni in piazza e ho fatto anche il laboratorio di Zelig. A 17 anni ero un piccolo fenomeno e ho deciso di farlo veramente, questo lavoro. Di andare oltre le commedie di Eduardo, e di trasferirmi a Roma dopo il diploma. E lì è scoppiato il casino, perché io a scuola ero pure bravino, avevo studiato informatica e mi avevano chiamato per il posto fisso… averlo rifiutato per andare a Roma era una cosa che mio padre non capiva: si sentiva fuori dal mio mondo, era preoccupato perché non mi poteva aiutare economicamente e perché non sapeva a cosa andavo incontro. Però io avevo deciso.
In quel periodo facevo l’obiettore di coscienza e insegnavo teatro ai bambini, e vennero i responsabili del casting del film “Certi bambini” a cercare dei bimbi per la produzione. Io chiesi all’organizzatore se potevo assistere sul set per vedere come si girava un film, e mi hanno preso come volontario. Per due mesi ho fatto di tutto, ho conosciuto persone e professionisti che poi nel tempo sono diventati amici, ho portato i caffè, sono andato a comprare i chiodi, ho fatto l’autista, e intanto imparavo. Poi la notte per guadagnare aiutavo il guardiano dei camper e mettevo da parte qualcosa. E proprio con quei soldi sono andato a Roma. Immaginati due ragazzini – ero con un amico che oggi fa il regista – totalmente sprovveduti: ci avevano detto che la casa era vicina al centro… praticamente era a Ostia! Facevo prima a partire la mattina da Salerno, un’odissea. Non avevamo una lira, dovevamo inventarci una vita, cercavamo i provini… e per di più quello che pensavo di saper fare era nulla, c’era una concorrenza spietata di ragazzini di 18 anni preparatissimi. Insomma, non è stato così semplice. Il tempo passava, non trovavo un lavoro e soprattutto una collocazione in una città immensa… e pensavo che non sarei riuscito a trovarli. Alla fine i soldi stavano per finire, sono andato in stazione per vedere gli orari per tornare a Salerno, sconfitto.
Mi squilla il cellulare ed era un’amica che mi proponeva un provino al Teatro dei Cocci, di Antonello Avallone, il giorno dopo. Io le ho chiesto se potevo andare quel pomeriggio stesso, ho preso la metro a Piramide e mentre ero sul bus mi ha chiamato il titolare di un bar per chiedermi se volevo iniziare a lavorare da lui. E nel giro di un giorno ho trovato lavoro di giorno e di sera… e lì è iniziato il periodo massacrante perché per 4 anni sono andato avanti svegliandomi alle 4 di mattina, arrivando alle 7 al bar in via Cola di Rienzo, stando lì tutto il giorno, riprendendo l’autobus e andando a fare le prove alle 19.30 e poi lo spettacolo alle 21, finendo a mezzanotte, riprendendo i mezzi e arrivando a casa alle 2. E alle 4 si ricominciava. Negli anni questo ritmo mi ha un po’ devastato ma se è la forza di volontà a trainarti i sacrifici non ti fermano, guardi oltre un punto lontano e ti dici “Lì voglio andare”. E piano piano ho iniziato a rodare, Roma è diventata la mia città, ho conosciuto una marea di gente, un passo dopo l’altro, sempre in salita.
Il primo passo cinematografico è stato con Carlo Verdone, in Manuale D’Amore 2. Il teatro a quel punto andava bene ma al cinema non mi prendevano mai. Facevo tantissimi provini, studiavo la notte, andavo lì ripetendomi “ce la faccio, ce la faccio” un po’ alla Boris… e non mi prendevano mai. E a un certo punto è arrivato questo provino agli studi sulla Tiburtina. Io non ce la facevo più… mi sono presentato svogliatissimo, mezz’ora in ritardo, non sapevo la parte, sono entrato e ho detto “io vado di fretta, se c’è fila me ne vado” e invece c’era un operatore toscano con una telecamera che mi ha detto “ma no dai, provala” e mi ha fatto improvvisare una scena con Eugenia Costantini. Abbiamo finito, stavo per andarmene e ricominciare la vita solita e invece l’operatore si è avvicinato e mi ha detto “Ci vediamo sul set”. Ed era Giovanni Veronesi. E a me è proprio scappato “Ua che figura demmerda”. Quella è stata una piccolissima particina che mi ha portato tanta fortuna, da lì non mi sono più fermato: ho fatto “Questa è la mia terra”, “Carabinieri”, “I Cesaroni”, “Il commissario De Luca”… e nel frattempo però ho continuato a fare il cameriere. L’ho fatto fino a quattro mesi fa, e anche adesso quando riesco cerco di mantenere un piede nella realtà perché io vengo dal lavoro, ho sempre lavorato da quando facevo il garzone dal barbiere a 11 anni, ed è anche un modo per ringraziare e poter mantenere non dico coi piedi per terra perché ci sto di mio, ma in contatto con la realtà vera. Poi è chiaro che adesso che sto lavorando tanto come attore, poter vivere del mio sogno dopo aver tanto aspettato è bellissimo, però non cambierei mai il mio percorso, anche se è stato così difficile, con quello del ragazzo agiato che si può permettere di non fare alzatacce. Mi è servito. Per questo non c’è mattina che vada sul set scocciato: è una gioia, l’ho sempre sognato. E quando sto lì godo nel farlo, cerco di migliorarmi continuamente su tutti i fronti, cinema, tv, teatro, ospitate, radio, serate live…
Quando Fiorello ha fatto lo show su Raiuno, il giorno prima c’era la prova generale che era un vero e proprio spettacolo con 2500 persone in platea vestite da sera, e lui che provava i pezzi. Poi quando c’erano i buchi perché gli ospiti non c’erano in prova, per esempio Benigni, lui improvvisava o faceva altro… e alla prova generale in cui ero in prima fila mi ha visto e mi ha fatto salire sul palco dicendomi “Fai il monologo di Bella Napoli” ed erano due anni che non lo facevo… però essere su quel palcoscenico, con Fiorello che mi fa da spalla, al pezzo che ho scritto io… Come dice il mio personaggio in Mamma Napoli, “Quando un traguardo te lo sudi veramente non c’è niente ‘a fa, è cchiù bello”.
CLICCANDO QUI troverete la seconda parte dell'intervista ad Emiliano De Martino, che ringraziamo per la gentiliezza e per la disponibilità che ci ha dimostrato.
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