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Tv Soap intervista MARIO CORDOVA, l'ex dottor Cortona di Centovetrine ora impegnato nella fiction L'ONORE E IL RISPETTO 3

Tv Soap ha avuto il piacere di incontrare Mario Cordova, notissimo attore e doppiatore che il pubblico di Centovetrine ricorderà certamente nel ruolo del dottor Vittorio Cortona, da lui interpretato nella soap torinese pochi anni fa.

Ora Cordova è nel cast dell'attesissima fiction L'onore e il rispetto 3, in onda su Canale 5. Ecco cosa ci ha raccontato della sua nuova esperienza ed in generale della sua vita professionale.

Intervista a cura di Carla per TvSoap.it - Riproduzione vietata

Devo fare una premessa: intervistare la tua voce mi fa un certo effetto. Ma forse ci sarai abituato…

(Sorride comprensivo) Guarda che lo capisco: mi ricordo quando sono riuscito a incontrare gli attori che consideravo i miti della mia infanzia… Sembrava di fare un passo nei sogni e nelle emozioni.

Esattamente… e ora che ti ho avvertito sull’emozione proviamo a iniziare con le domande. Partiamo da L'onore e il rispetto, la fiction che parte questa sera e di cui sei tra i protagonisti. Qual è il tuo ruolo e come è entrata nella tua vita una fiction con Gabriel Garko?

(Scoppia a ridere) Io con Gabriel Garko non ho lavorato tantissimo, ho fatto poche scene perché ho girato soprattutto con Giuliana De Sio, ma devo dire che il fanciullo ha un’intensità pazzesca. Dicono “E’ bello”. No, è molto più di questo. Ha una faccia intensa. Ti racconto un episodio: abbiamo girato una scena a Siracusa in una chiesa, lui in quel momento era ricercato dalla mafia, noi (i mafiosi) stavamo celebrando un funerale e lui doveva entrare in scena sfidando tutti con una lunghissima camminata per la navata centrale… guarda, è stata davvero emozionante, per come l’ha girata. Poi certo, esce dalla chiesa e si trova seimila donne urlanti solo per lui… non dev’essere mica facile gestire questa cosa! (ride ancora)

Per quanto riguarda la fiction, non lo dico perché ci ho lavorato ma perché è proprio quello che ho sentito, è una delle prime volte in cui mi sento coinvolto in una storia fin dalla sceneggiatura. Nel senso che la leggevo e pensavo che non mi interessava tanto il mio ruolo in quel momento quanto sapere cosa sarebbe successo dopo! Di solito nelle fiction le cose succedono soprattutto nelle puntate finali e le altre sono soprattutto di avvicinamento. Qui no, ne succedono tantissime fin dal primo giorno! E chi l’ha vista nella versione finale, dopo il doppiaggio che in alcuni casi è necessario per motivi tecnici, ha detto che è davvero bellissima. Io non l’ho ancora vista, aspetto questa sera! (sorride)

Per quanto riguarda il mio personaggio, io sono “Il padrino”. Mi chiamo Don Tano Mancuso e ho sostanzialmente il ruolo che aveva Ben Gazzara nella scorsa serie, ovviamente non sono lo stesso padrino ma il ruolo è simile. Sono un mafioso a capo di una cupola e di una famiglia, con una moglie e tre figli, due maschi e una femmina. Sono il capo dei capi… e sono l’antagonista di Garko. Cattivissimo! (ride)

Tra l’altro io il provino l’avevo fatto per un altro personaggio, poi mi sono trovato di fronte questi due ragazzi, i registi Alessio Inturri e Luigi Parisi, che mi hanno coinvolto e mi hanno portato su un altro ruolo. È stato un provinaccio di un’ora e mezza! Dovevo picchiare mio figlio, e lo faceva uno dei registi… puoi immaginarti la foga che ci ho messo, s’è preso un sacco di botte ma era contento del risultato! (sorride)

Ci parlavi di una storyline con la bravissima Giuliana De Sio, ci puoi anticipare qualcosa a riguardo?

Ho girato soprattutto con lei perché la sua famiglia interferisce molto nella mia vita, e c’è anche un “inciucio sessuale” più che amoroso: lei fa sostanzialmente la parte di una donna perduta di cui io usufruisco a piene mani, e che uso anche per servizi poco puliti e decisamente mafiosi. Devo dire che Giuliana è stata un’attrice e una compagna di set favolosa, e quando accanto a te c’è qualcuno di così bravo anche tu cresci. Poi il rapporto che si instaura tra due attori che devono interagire è unico e magico: sono sguardi, azioni, gesti, sfumature, movimenti del corpo… lavorare con lei è stato molto piacevole, così come con i due registi. Anche perché ormai qui capita di tutto. Mi sono capitati lavori in cui alla fine della scena chiedevo al collega “scusa, ma di quei due il regista chi era?”. Invece qui c’è stata una collaborazione grossa, anche un aiuto da parte loro, perché con tutta l’esperienza possibile quando sei sul set hai comunque bisogno di qualcuno che ti dica se l’idea che hai del personaggio è giusta, se lo stai portando avanti bene… Il nostro alla fine è l’unico mestiere in cui esiste qualcuno pagato apposta per dirti che l’hai fatto bene! (ride)

A proposito del mestiere: come ti sei avvicinato alla recitazione?

(Ironizza) Come ti dicevo prima, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale… no, scherzo! Comunque tanti anni fa ho fatto la scuola del teatro stabile di Genova, e subito dopo qualche anno di teatro. Poi ho deciso che questo mestiere andava fatto a Roma e mi sono trasferito lì, e dopo un mese mi sono trovato protagonista in una fiction di otto puntate in onda la domenica con Valeria Valeri. E subito dopo è partita Storia di Anna, uno sceneggiato con Laura Lattuada, per la regia di Salvatore Nocita, in quattro puntate. Era il 1981, non c’era la concorrenza e non eravamo perfetti, ma si parlò di 17 milioni per la prima puntata e di 20 milioni e mezzo per la quarta! E subito dopo venne Piccolo mondo antico… non potevo uscire di casa e per qualche anno è stato così, per quello capisco Garko (ride)!
E poi a un certo punto ho detto “basta, voglio fare solo doppiaggio, voglio una famiglia, non voglio fare la vita del marinaio”. E così per vent’anni sono sparito e ho smesso di fare l’attore in scena.

Ma il doppiaggio com’era entrato nella tua vita?

In effetti non era una scelta popolare, il doppiaggio non è la prima cosa a cui si pensa in relazione alla televisione, e se adesso se ne parla abbastanza – anche troppo – allora proprio non ne parlava nessuno. È successo casualmente: arrivando a Roma ovviamente volevo fare il maggior numero di cose possibili e così, mentre facevo una trasmissione in radio, un collega – una persona strepitosa – mi disse che Stefano Satta Flores stava doppiando un film con Dudley Moore e Bo Derek (che sarebbe uscito col titolo "10") e mi chiese di fare un salto in questo studio. E io arrivai lì chiedendo un minuto del signor Flores, che fece una sceneggiata clamorosa di cui non ho mai saputo il perché, dicendo “Carissimo Mario come stai” (io lo conoscevo solo di fama, lui non mi aveva mai visto né sentito) e mi fece fare un provino al volo sul film. È finita che lo lasciarono inciso nella traccia finale e mi pagarono pure… e da lì iniziai subito a lavorare come doppiatore. Il doppiaggio d’altronde ha problematiche tecniche forti, e a volte accade che qualcuno abbia la predisposizione o almeno la capacità di apprendere subito i primi “trucchi” del mestiere, il sinc, il labiale…

E anche lì come in televisione iniziai con parti grosse, con responsabilità alte… e la verità è che non credevo in me. Credevo sempre di essere inadeguato a quello che mi offrivano, mi sentivo un bluff e ogni volta che mi facevano un complimento pensavo “Io sono una sòla e prima o poi questi se ne accorgono”. Alla fine sono quelle paure che abbiamo tutti… essere sempre al centro attenzione è un po’ dura. Insomma accettavo cose pazzesche anche perché sarebbe stato da pazzi rifiutare... ma la vivevo malissimo!

E poi è tornata la tv?

E poi sono passati vent’anni, sì… Io ho messo a posto tutta una serie di cose, e dopo 21 anni che non facevo l’attore la vita ha deciso di rigirare da quella parte. Stavo andando a registrare in sala di doppiaggio, come al solito… e banalmente ho sbagliato strada. E ho incontrato in un’altra sala una persona carina, un’assistente di doppiaggio che conoscevo e che ho salutato dopo tanto tempo che non ci vedevamo. Dopodiché ho ripreso la mia strada, ho trovato la porta giusta e sono andato a doppiare. A lei dopo 5 minuti ha squillato il telefono: era il fratello che faceva l’organizzatore teatrale per lo spettacolo di Preziosi (Datemi tre caravelle, il musical andato in scena al Sistina) e che voleva parlare alla sorella perché non trovavano questo Re di Spagna che gli serviva assolutamente. A lei sono venuto in mente io, poi col cognome Cordova andavo già benissimo (ride), e alla fine ho fatto questo spettacolo al Sistina. E da lì – è assurdo ma è stato perfetto – ho ricominciato proprio dalla gavetta.

Dopo qualche tempo Rossella Izzo, che conoscevo da anni per il doppiaggio, mi chiamò e mi disse che stava facendo Provaci ancora Prof, e mi chiese di fare un piccolo personaggio. E io risposi che non ci pensavo nemmeno, che non lo facevo da anni eccetera. Solo che lei non è una che si lascia dire di no facilmente, e tra un “Dai che ci divertiamo...” e l’altro alla fine mi ha trascinato sul set per girare questa puntata. Ma è stata una cosa piccola,  tre pose, ero solo protagonista di puntata. La puntata va in onda una domenica di ottobre... e poi il martedì ricevo una telefonata da Mediaset.

“Senta, l’abbiamo vista domenica… saremmo interessati a lei per un ruolo… ci manda le sue foto?” e io “Guardi, non ne ho”. E loro, straniti: “Ma scusi non fa l’attore? Non ha le sue foto? Non ha un book?” E io a cercare di spiegare “Guardi ne ho solo di vecchie, è una storia lunga…” Loro non demordono e mi chiedono di andare a fare un provino. Era per Centovetrine, dovevo restare due mesi e sono rimasto un anno… ed è stato bellissimo! Perché in quell’anno sono ripartito senza più angosce – che a volte sono anche funzionali a dare il massimo però non possono durare troppo – e invece facendo una palestra straordinaria di velocità e produttività: perché lì girano a un ritmo spaventoso, nove scene al giorno… è stato fondamentale!

E dopo quell’anno mi sono detto: “Ok, lo rifaccio. Rifaccio l’attore”. E da lì ho ricominciato da zero, con partecipazioni di due pose, tre pose… e la cosa divertente è che non mi riconosceva nessuno, e questo mi ha finalmente permesso di fare le cose con gli step giusti, all’inizio sentendo meno responsabilità – perché se sei il protagonista alla prima volta che sbagli sono tutti carini, alla seconda insomma, alla terza vengono a dirti “Bello mio è il caso di dare, ora!” – e invece con la voglia crescente di fare di più. Perché se al primo provino finisci a fare Storia di Laura e al secondo Piccolo Mondo Antico, a un certo punto anche il gusto della rivincita, della vittoria… un po’ si perde. Invece ricominciando da capo – e a volte pure vedendo passare gente che… (sorride e sorvola) – è tornata la voglia di vincere, di fare le cose bene e di ricominciare a crescere. E ti torna anche il gusto della vita.

Ho ricominciato a fare i casting: anzi… ho cominciato a farli! Perché quando avevo cominciato io i casting non c’erano, c’era la Rai e basta…  e sono anche successe delle cose divertenti, perché io li capisco… quando ti capita davanti un uomo di cinquant’anni che non conosci e non ti ricorda nulla, un po’ di diffidenza c’è. E quindi le scenette “Allora vuole provare?” “No, grazie, vado subito”. “Nemmeno vuole ripassare”. “No.” “Vabbè parta…” e poi alla fine del provino… “Senti ma… ci sarebbe un’altra parte…” e lì parte la soddisfazione (mentre lo dice il sorriso è davvero ampio).

E dopo Centovetrine sono arrivate tante cose, questa è la più grossa ma ho anche fatto un personaggio nel film di Luca Manfredonia Qualunquemente, una cosa buffa… anche perché con questa voce cosa mi possono dare? Faccio sempre colonnelli, commissari, medici, anche in Squadra Antimafia ho avuto un piccolo ruolo da medico [l’abbiamo visto ieri]… ora il padrino.

E devo dire che assieme alla soddisfazione arriva anche la consapevolezza che questo è un mestiere che potendo va fatto così: perché più è grosso il ruolo più hai la possibilità di curarlo, più è scritto approfonditamente e con maggiori sfaccettature, è più complesso ma più bello. Poi ovviamente son cose lontanissime da me: faccio il padrino io che ho smesso di fare l’attore perché non mi sentivo all’altezza! È ovvio che c’è un universo di distanza, e ci sono anche esempi altissimi a cui rifarsi. Però è stato davvero bello.

Una domanda su Centovetrine: non sei il primo attore con un curriculum prestigioso che arriva a San Giusto per restare poco e invece si ferma, e quando riparte ne parla come di un piccolo posto miracoloso. Qual è il segreto di Centovetrine secondo te?

Sai che è vero… non sono l’unico a pensarlo, anche parlandone con gli amici che l’hanno fatto con cui sono rimasto in contatto, e quindi con i doppiatori Luca Ward e Luca Biagini, l’impressione è stata la stessa. E anche per loro, come per me, è stato l’inizio o il reinizio di qualcosa. Ward poi lo lanciò davvero nella recitazione. È vero che poi c’è stata Rivombrosa, ma partì tutto da Centovetrine.

Per me è stato il tornare a costruire un personaggio, un rientro sulle scene dopo vent’anni che non lo facevo…  è stato ripartire da una riga di testo, che da sola non significa nulla, dall’analisi di quello che viene prima e di quello che viene dopo, dalla costruzione dell’intonazione che ci vuole in quell’istante. Se io ti dico “ti amo”, lo posso dire come se non contasse nulla o come se ti amassi davvero… e per scoprire qual è l’intonazione giusta devo studiarmi il personaggio e il copione e capire cosa pensa davvero in quel momento. Qui è innamorato, qui è incazzato, qui ammazza quanto gli piace… qui si muove in un modo perché è un contadino e qui si muove in un altro perché è il professor Cortona, qui devo parlare con più forza, qui diminuire l’emissione… tutto questo lavoro il doppiatore se lo trova già fatto,  queste scelte le ha già fatte l’attore per lui.

Credo non ci sia una persona più adatta di te per rispondere a questa domanda: ci descrivi il processo di doppiaggio come se stessi parlando a un profano, da quando il film in inglese arriva alla tua società a quando esce pronto per i cinema italiani?

Allora, il film come prima cosa è visionato dal direttore del doppiaggio che è il regista e che procede all’assegnazione delle parti in base a motivazioni diverse: prima il genere, poi l’età, poi il cuore, spesso i rapporti vocali: mi è capitato di scegliere un’attrice di 33 anni per un ruolo da 40enne perché mi faceva più gioco, ma allora ovviamente anche tutti gli altri attori devono essere scelti in conseguenza di quella voce.

Nel frattempo un assistente taglia il film e lo suddivide in scene di 30-40 secondi che si chiamano anelli (perché una volta si lavorava solo su pellicola ed erano proprio tratti di pellicola) che vanno visti e rivisti più volte per memorizzare tutte le cose che non sono sul copione: il ritmo, i gesti che accompagnano le parole, i rumori con cui sincronizzarsi. (Ne dà un esempio pratico, e mi si permetta di dire che ascoltarlo dalla sua voce è un privilegio) Se io sto parlando velocissimamemente perché è una cosa che non interessa a nessuno (lo fa), il ritmo deve essere questo. Se invece si tratta di una cosa importante (rallenta e calca le parole) allora bisogna andare più piano ed essere più incisivi. E poi devi immaginare i movimenti che fa l’attore con le braccia, con la faccia, col corpo… e rifarli!

Dopodiché si va in sala di incisione e si incidono le piste – spesso più volte, dipende dal tempo che si ha – e alla fine si mixano con la colonna internazionale, che è quella su cui i produttori inseriscono solo le musiche e i rumori che non hanno lingua e che vanno “appoggiati” sulle voci di ogni paese.
E poi naturalmente c’è l’adattamento dei dialoghi, che non è assolutamente solo la traduzione, ma la scelta delle singole parole – perché un aggettivo o un altro possono cambiare tutto – che dipende dal film, dal produttore, dall’attore scelto… e poi c’è il sinc: perché se quello dice DAD e io vorrei tradurre con PAPA’... non lo posso fare! Dad è un monosillabo senza labiale, Papà un bisillabo con labiale… e allora lo traduco con SENTI, che sembra un monosillabo quando guardi le labbra che lo pronunciano, e il Papà lo appoggi su un’altra parola dopo.

Di questo lavoro si occupano dalle 50 alle 80 persone per film, a volte anche 100, e dura circa un mese per un film di due ore. Dopodiché il film esce al cinema doppiato e nasce quel meraviglioso patto con lo spettatore per cui il personaggio si chiama Tom Jones, è interpretato da Richard Gere (e tu vuoi andare a vedere proprio Richard Gere), abita a New York ed esce dall’Empire State Building… però al portiere parla in italiano. E noi siamo convintissimi che lui gli abbia detto proprio così. E se ci pensi è un patto pazzesco e bellissimo.

Senti, te lo devo chiedere: ma succede mai che qualcuno che non ti conosce a un certo punto ti guardi strano e tu vedi la nuvoletta sulla loro testa “Ma io questa voce dove l’ho già sentita?”

(Ride) Assolutamente, capita, capita. Qualcuno ogni tanto mi chiede “Ma lei fa il doppiatore?” e poi realizza. Anche perché io non ho fatto solo il doppiaggio di film ma anche i trailer, la pubblicità… è una voce che è entrata abbastanza nelle case… La cosa che mi capita di più sono le telefonate alle mamme, alle sorelle, alle figlie… alle fidanzate! Me lo chiedono e allora chiamo e dico con la voce profonda “Sono io, sono Richard… sono qui con Giovanni che mi dice che sei la donna più bella del mondo!”. Una volta mi vergognavo, adesso lo faccio e penso sia una cosa carina… Mi capita anche che il mio avvocato mi chieda di incidere il messaggio di risposta sulla segreteria telefonica (qui scoppiamo entrambi a ridere).

Se mi posso permettere, da questa intervista sembri un uomo sereno che ha fatto pace col suo incredibile talento.

(Serio) Non esageriamo, non sono un uomo totalmente risolto. Ma ho anche preso tante bastonate che sono servite: il dolore uno ovviamente vuole evitarlo ma a volte non si può, e se si riesce a trasformarlo in occasione… aiuta. Alcune cose le ho sistemate. (sorride) Mo’ vediamo...

E allora in attesa di vederlo in L'onore e il rispetto 3 e di ascoltare ancora la sua meravigliosa voce, è il momento di ringraziare Mario Cordova per la sua straordinaria disponibilità e ironia.

© TvSoap.it - Riproduzione vietata

(Pubblicato l'11 settembre 2012)


 


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